Il dolore nell’anima delle patologie autoimmuni. Quel dolore che nessuno comprende
Viviamo in un mondo in cui sei un “poveretto” solo se hai delle patologie riconosciute. Susciti tenerezza, conforto e comprensione solo quando le tue condizioni di salute sono gravi e ti vedono grigio in faccia.
Chi soffre di patologie autoimmuni, sta già abbozzando mezzo sorriso amaro, perché ha capito di cosa sto per parlare: l’indifferenza e l’analfabetismo verso queste malattie, anche da parte dei medici stessi, di cui si parla poco e niente.
La scienza brancola nel buio, e si limita a dire che servono in caso antinfiammatori, antidepressivi e ansiolitici, omettendo che queste cure sono assai compromettenti per il cuore e affatto risolutive.
Lo Stato, d’altro canto, ti reputa una forza lavoro, senza capire nemmeno da lontano i dolori fisici e psicologici che si è costretti a sopportare 24 ore su 24.
Ogni patologia autoimmune nasce da una profonda depressione mascherata. È la peggiore tra le depressioni, poiché nessuno, e dico nessuno(comprendendo anche la persona in questione che ne soffre), si accorge di questa depressione.
Per la maggiore si tratta di persone forti, con un temperamento deciso, che all’apparenza sanno il fatto loro. Sono persone che donano spesso il sorriso agli altri, che hanno imparato a sorreggere il prossimo, ad essere il bastone di qualcuno. Sono persone che hanno le ginocchia piene di lividi, perché la vita tante volte le ha messe in ginocchio, ma sono riuscite a rialzarsi.
Tutto fantastico, tanti complimenti.
Se non fosse che queste persone hanno reagito sempre con tanta forza (troppa) perché non avevano altra scelta. Sono persone fondamentalmente sole, o comunque dentro se’ così si sentono, senza reali appoggi affettivi, o economici, sociali. Sono persone abituate a prendersi cura degli altri, iper responsabilizzati, spesso hanno alle spalle genitori inesistenti o immaturi. Hanno imparato a fare da sé, e questo è stato per loro anche fonte di gratificazione, ma in quell’angolo nascosto, dove nessun occhio vede, quella persona giaceva rannicchiata piangendo lacrime che nessuno avrebbe mai asciugato. E lui/lei questo lo sa. Sa che nessuno sarebbe accorso.
Quindi forza e coraggio, ce la faremo anche stavolta.
Ma non è mai così però.
Ed ecco che ad un certo punto il corpo parla per queste persone, parla per te: inizia a ribellarsi, a dire no, a urlare come se qualcuno gli stesse tappando la bocca. Ecco che ad un certo punto il corpo si ammala. Perché accade?
Perché ami far stare bene le persone, ma chi ama far stare bene te?
Ami prenderti cura degli altri, ma chi ama prendersi cura di te?
Ami guardare la vita dal lato del sole, ma quando la vita è stata sole per te?
In realtà, nulla o quasi è andato come desideravi. E non te lo sei voluto dire.
Tutto quello che amavi, ti ha deluso.
L’amarezza ha iniziato a scorrerti nelle vene, senza che nemmeno te ne accorgessi, e in bocca hai iniziato ad avere spesso un inspiegabile gusto amaro. Il tuo corpo ha iniziato a somatizzare ogni cosa non fosse buona per la tua vita: il lavoro che sei stato costretto a fare, ma che detestavi; i familiari che non ti hanno mai amato, ma che sopporti per tuo affetto; quegli amici che non sono stati veri, ma che hai tenuto per non sentirti troppo solo; quella storia che ti ha reso infelice, ma era l’unica che potevi permetterti; tutto quello che avevi e che magari hai perso; tutto quello che non hai mai avuto, e che sai non potrai mai avere.
Nel tuo corpo, nei tuoi organi, nel tuo sangue, c’è scritto tutto quello che sei stato, che hai sopportato, che hai subíto. E il corpo parla al posto tuo.
Iniziano così i pellegrinaggi dai medici, le cure senza successo, i punti interrogativi che non trovano risposta, e la conseguente frustrazione che si aggiunge alla precedente già esistente.
È andata male anche questa, ma continui a sorridere. È la tua natura. Smorzi la cosa, dici che domani è un altro giorno, vuoi farcela. D’altronde sei un eroe d’altri tempi: un Achille valoroso, o una Giovanna D’Arco coraggiosa, nessuno può negarlo. Se non fosse a lui bastava un pizzicotto sul tallone per stenderlo a terra, e che un “donnone” come lei soffriva di epilessia.
Se siamo così tanti in questo mondo, vuol dire che ognuno di noi ha diritto a mostrare la propria fragilità, e ad essere sostenuto e contenuto. Dovrebbe essere sempre un atteggiamento reciproco, tra persone della stessa famiglia, della stessa cerchia di amici, e così via.
Ma spesso vengono chiamate a fare da pilastro sempre le stesse persone, a discapito della loro resistenza umana, senza un giusto ed equilibrato scambio di ruoli. In parole povere, è sempre uno quello che deve stare in piedi, ed è sempre l’altro quello che si accascia.
Allora quale è la soluzione? Come se ne esce?
“Ad oggi non ci sono cure” – risponde la scienza. E se ne lava le mani.
Io, nella mia ignoranza, ti dico: Devi ricominciare da te.
1) Inizia col dirti tutta la verità sulla tua vita e su chi ti circonda.
Purtroppo sei stato sfortunato. Guarda una per una le persone della tua vita, esattamente per quelle che sono, senza sconti. Renditi conto che non puoi sprizzare gioia e allegria con un bagaglio di vita simile. È normale che tu sia triste e avvilito. È normale che tu abbia paura di tutto, e l’ansia “ingiustificata” ti divori. È umano. È giusto. È tutto ok.
2) Cura il tuo corpo.
Fallo attraverso una corretta alimentazione. Usa le creme che ti piacciono, fai danza, yoga, quello che ti fa stare bene. Coccolati più che puoi. Necessiti di tanto amore e affetto, e hai capito ormai che puoi dartelo solo e principalmente tu. Ringrazia il tuo corpo perché ha dovuto sopportare di andarti contro, pur di salvare la tua anima. Ha urlato contro te stesso per svegliarti, per dirti che quel copione andava chiuso.
3) Hai bisogno di tempo per te. Più di ogni altra persona. Goditi il silenzio, il rumore del mare, la compagnia di un buon libro. Se soffri di queste patologie, non sei come tutti gli altri. Hai gusti particolari, esigenze a volte fuori dagli schemi. Ricordati: va bene così. Abbandona l’idea che gli altri debbano capire, non accadrà mai. Vivi le tue “stranezze”, amandole.
4) Se è nelle tue corde, se puoi permettertelo, intraprendi un percorso spirituale, o un percorso terapeutico, con l’intento di una vera e profonda accettazione di te stesso. Se non puoi, guarda film che ti piacciono, ascolta la tua musica preferita, fai ginnastica dolce, medita, prega. Ma non strafare mai in nulla. La parola d’ordine è: con misura.
5) Sorridi, accetta, dì di si, solo se effettivamente lo senti, lo vuoi. Altrimenti impara a dire no, e spiega con educazione ma risolutezza, il perché. Solo chi tiene veramente a te, ti amerà e ti vorrà così e come sei.
6) Accontentati di avere di meno, ma non accettare lavori che non sono nelle tue corde. E così anche per le relazioni. Le cose giuste arriveranno quando davvero sarai pronto.
7) Ricomincia a sognare, a desiderare.
Non importa la tua età. Coltiva i tuoi sogni. Cerca di renderli possibili. E se sono troppo ambiziosi e impossibili, abbassa l’asticella con qualcosa che desideri, ma attualmente più alla tua portata. Dovremmo dirglielo al Genio della lampada: tre desideri sono troppo pochi! Quindi sfoglia il tuo album e coltiva la speranza vera.
8) Fai solo quello che senti TU. Hai voglia di stare a poltrire tutto il giorno? Vuol dire che ne hai bisogno.
Fidati del tuo istinto, non metterlo mai a tacere per piacere agli altri. Tu sei la migliore bussola per te stesso. Tu solo puoi sapere quando hai fame, sete, caldo, freddo; e così è con tutte le cose della tua vita. Tu solo puoi davvero sapere cosa è meglio per te, sebbene spesso potresti essere controcorrente. Ebbene, fregatene.
8) Ecco: fregartene. È una delle cose che ti risulta più difficile. Ma è un esercizio importantissimo che devi eseguire ogni giorno e più volte al giorno: ti stanno giudicando? Fregatene.
Credi in qualcosa ma nessuno ti capisce? Fregatene.
Pensano di te cose poco piacevoli? Fregatene.
Impara a non voler essere perfetto né con te stesso, né tantomeno con gli altri.
Non rimuginarci sopra: f r e g a t e n e!
Sarà una passeggiata? No.
Sarà facile? No.
Sarà veloce? No.
Sarà un lungo percorso. Sarà difficile.
Piangerai molto. Soffrirai.
Le patologie autoimmuni non so se scompariranno, e probabilmente non lo faranno. Ma avrai cambiato cose veramente significative in te, che ti doneranno una vita sicuramente migliore.
E adesso prendiamo per le manine lo Stato, alcuni medici, e tutta quella gente che ignora quanta fatica costi a volte anche lavare due stoviglie del giorno prima, o quanto sia devastante avere a che fare con la depressione non riconosciuta o mascherata, che ti spezza le gambe contro qualunque iniziativa. Prendiamoli tutti per le manine e mettiamoli a fare giro giro tondo. Chissà se messi tutti in cerchio, uno di fronte all’altro, non si sentano finalmente un po’ stupidi, messi lì come salami, invece di giudicare “leggere” queste patologie, senza piuttosto provare almeno a comprenderne il significato ed empaticamente a sentirne il peso.
Sappiate che chi soffre di queste patologie, ha un’anima delicata, che mal sopporta il frastuono dell’ovvio, della superficialità e del pensiero di massa.
Proprio per questo conviene sottovalutare queste persone: se si svegliassero comprendendo la preziosità del loro vero valore e del loro vero essere, potrebbero cambiare il mondo? Io dico di si.
-Patrizia Perotti-
Dov’è l’Amore? – Riassunto di quest’epoca confusa e infelice
Nessuno si è mai dilungato scrivendo sui sentimenti e sulle emozioni delle epoche passate. Solo qualche scrittore ne ha parlato velatamente. Non sappiamo esattamente cosa poteva provare chi ha vissuto guerre, pestilenze, atrocità. Le studiamo e le guardiamo da lontano, narrate in modo impersonale su freddi libri di Storia. E rimaniamo distanti spettatori, interessati solo a prendere un buon voto a scuola. È questo che ci insegnano a fare.
Credo che stiamo vivendo una delle epoche storiche peggiori, dove non riusciamo a riprenderci dall’inganno della tecnologia avanzata che ci prometteva, in anni semplici, facilità e minor fatica. Non riusciamo a rinunciare a quei falsi palcoscenici che chiunque può avere, non solo i privilegiati. Pensiamo di vivere solo perché in estate facciamo la vacanza, a Natale fotografiamo l’albero, seguiamo gli standard dettati. In realtà corriamo e non ci guardiamo negli occhi; sfrecciamo, schiavi di un orologio, del tempo tiranno, della vecchiaia che non accettiamo, non capendo che è una fortuna poterla vivere.
È un’epoca densa di timori, di incertezze, di ansia, angoscia e depressione. E per questo è un’epoca muta, che però parla troppo solo per controbattere senza criterio, e poco per parlare di cuore. I sentimenti sono andati persi, fuori moda.
L’ Amore cos’è?
Tante definizioni si accavallerebbero, ma nessuno in realtà lo sa davvero.
Studiosi cercano di farci credere, riuscendoci, che tutto parte dall’eros, che il sesso scevro da sentimenti è quello che ci vuole. Ma mai come in quest’epoca ho visto gente triste, sola, che offrendo il proprio corpo come merce di scambio e piacere fine a se stesso, ha perso il giusto limite dell’amore di sé, della stima della propria anima che, dimenticata, ha smesso di “disturbare”.
Se capiste quanta fame d’amore c’è in ognuno di noi, potreste rabbrividire. Fame non riconosciuta, inespressa, taciuta. Compensata malamente da tutto; quel tutto che ci sembra di avere, ma che non è niente.
La mancanza d’Amore e di devozione sta uccidendo tutto. Sta uccidendo tutti.
Ma oggi, epoca in cui la qualunque diventa normale, e il “normale” viene squalificato, quale posto potrebbe occupare l’Amore, se non quello in ultima fila, dove nessuno lo vede, e dove Lui, l’Amore, non riesce più a scorgere altro che confusione?
Un giorno qualcuno studierà di questi tempi, grigi e antichi, lontani e pesanti, e sarà per prendere un buon voto a scuola.
Nessuno avrà davvero parlato dell’Amore sprecato, dimenticato, maltrattato. Nessuno dirà che in realtà siamo stati tutti un po’ quei Pinocchio e Lucignolo nel paese dei balocchi, e ci siamo ritrovati a ragliare davanti alle ingiustizie, spogliati dalla nostra dignità. Nessuno racconterà che il male più grande è stato proprio inseguire il progresso, quello dal vocione gonfio ed errato, che ci ha voluti uguali e schiavi, ma convinti di essere diversi e liberi.
Finché avrò voce, racconterò di questi tempi bui, malati, che hanno toccato col loro buio e la loro malattia, anime e corpi. Che hanno portato nuovi demoni nella mente e negli organi vitali, devastandoli, uccidendoli, togliendo vite senza pensarci su due volte, sottraendo affetti profondi, e creando quindi voragini affettive che si ripercuotono nell’universo come echi invisibili che però toccano tutti, indistintamente.
Dov’è l’Amore?
Non c’è. È andato. Fottuto.
“Non serve. Fa male. Divora. Sfinisce.” (dicono)
No. (dico io)
È tutto quello che è diventato essenziale, che in realtà non serve.
È la mancanza di Amore vero che fa male.
È il tempo che non hai che divora.
È il non trovare più nulla di semplice che sfinisce.
Quando qualcuno leggerà di questi tempi andati, voglio che sappia che la gente soffriva ma rideva, più ostentava e meno aveva, voleva troppo e non stringeva.
Chissà se in futuro si riscoprirà il valore dell’affetto, della vicinanza vera, della famiglia unita, dell’essere veramente padre e madre, marito e moglie, del preoccuparsi per gli altri oltre che per se stessi, del prendersi cura, della devozione, dell’essere e non dell’apparire.
Chissà se l’Amore verrà ritrovato, riscoperto, rivalutato.
A chi come me subisce la violenza nell’anima che esercitano questi tempi, non resta che rimanere a guardare quel poco che di buono rimane, accompagnati da quel senso di amarezza che non ci abbandona, e che intimamente, da buoni romantici sognatori quali siamo, speriamo ancora si trasformi in sapore leggero e fresco, in aria limpida che ci lasci respirare ancora e davvero.
-Patrizia Perotti-
www.patriziaperotti.it
Abbandonare i social. Io l’ho fatto
Come promesso, con i miei tempi che sono un misto tra la verve di un bradipo e lo slancio di una lumaca, eccomi qui a parlare del perchè (con gioia) ho abbandonato i social.
Parlarne per sommi capi e in due righe non è cosa semplice, perchè i social in realtà hanno modificato l’essere umano in modo altamente complesso.
Sarò costretta ad esprimere il mio pensiero nel modo più sintetico possibile, ma proverò ugualmente ad illustrarvi perchè a mio avviso dovremmo tutti abbandonare i social.
Essendo figlia degli anni 70, e avendo vissuto l’adolescenza negli anni 80, ho ricordi molto vivi (e belli) di quello che era il mondo senza i like. Mi rivedo ancora mentre cammino spensierata col walkman sulle orecchie. A quei tempi nessuno aveva ancora violato il diritto di sognare a occhi aperti, e di desiderare.
E’ un quadretto questo, molto lontano da come oggi siamo schedati sui social. Foto, nome, cosa fai, perchè, dove sei stato. Siamo dei fascicoli. Se siamo curiosi di conoscere qualcuno, andiamo subito a vedere il suo profilo social per farci un’idea. Se ne risulta qualcosa che non ci convince, guardiamo già altrove, come se la personalità di una persona si potesse racchiudere in quattro righe senz’anima. Siamo schedati all’interno di un grosso catalogo, dove chiunque può mettere mano e dire la sua.
Ecco quindi alcuni motivi per cui ho abbandonato i social, e per cui secondo me dovrebbe farlo chiunque.
1) I social ci allontanano da noi stessi.
Tempo fa ebbi una discussione con una conoscente che difendeva a spada tratta i social. “Senza Facebook non saprei che fare ormai. Mi salva la vita.” – affermò.
Fu la cosa più allarmante e squallida che abbia mai sentito in vita mia. Una donna che affermava di non saper vivere senza lo scorrere continuo dello schermo, e che interagiva brillantemente solo attraverso Facebook. Poi se la incontravi per strada, evitava anche di salutarti se poteva. Guardandola bene, è una donna molto depressa, ha una vita praticamente nulla: lavoro monotono, situazione sentimentale inesistente da anni e anni, nessun vero amico.
In tal caso non ha senso drogarsi di social. Bisogna correre ai ripari, capire il malessere che ci attanaglia.
I social ci distolgono dai nostri veri problemi, e questi crescono senza che noi ce ne accorgiamo. Mettono radici in modo silenzioso. Essi, i social, hanno il compito di distoglierci momentaneamente dal nostro malessere. Solo che poi arriva sempre il giorno in cui ci svegliamo, trovandoci davanti il mostro gigante dei nostri problemi irrisolti. E quel mostro ci mangia, non saremo in grado di fronteggiarlo, cercheremo di continuare a scappare ma senza riuscirci. Saranno guai.
2) I social ci illudono.
“Ha messo il like alla mia foto, quindi gli piaccio.”
“Se non ho molti follower, non valgo nulla. Se ne ho tanti, sono una star.”
Eppure è semplice: i like si mettono soprattutto per gentilezza, perchè si è amici, perchè dobbiamo contraccambiarli, perchè è un giro continuo di favori. Non conto le volte in cui ho dovuto per forza mettere un like in foto di cui nel frattempo commentavo d’istinto: “Oh mamma, che orrore!”
Il talento, la bravura, e tutto quello che vorremmo fosse premiato, non si evince dai follower e da quanto successo abbiamo sui social. Ci sono emeriti ignoranti, frustrati, persone con evidenti disturbi antisociali, che si credono chissà chi perchè la massa li segue. E ci sono invece persone molto valide che faticano a farsi notare.
Siamo quelli che siamo, a prescindere dai like e dai follower.
I social portano il nostro ego alle stelle, per poi scaraventarlo per terra violentemente senza tanti complimenti.
Svegliatevi: non si può andare in crisi per una manciata di like. Come non potete sentirvi mister mondo perchè ottenete molti like. Lo capite che non c’è cosa più facile, che cliccare un pollice in su? E che altra cosa facilissima è il voler demolire una persona attraverso mancati apprezzamenti o commenti offensivi? Voi non siete un like. Siete molto di più (o molto di meno, a seconda del caso).
3) I social ci danno ansia e frustrazione.
Dobbiamo per forza far sapere qualcosa di noi al mondo. Abbiamo perso il piacere di fare foto per guardarle e averne il ricordo. Lo scopo è postare. Ostentare. Farsi vedere. Informare. “Io esisto. Guardatemi.” E’ questo quello che si cela dietro a molte foto e post.
“Noi siamo felici. Invidiateci.” E poi quella felicità non esiste nemmeno da lontano.
Postiamo ciò che vorremmo essere, e ciò che vorremmo che fosse la nostra vita. E quando proprio non possiamo mentire, arriva l’ansia.
Guardiamo i volti sorridenti di chi nella realtà nemmeno si considera, ma noi non lo sappiamo, e crediamo a quell’immagine che riflette la felicità che vorremmo.
I social non ci aprono al mondo, ma ci chiudono in una piccola cerchia di persone inesistenti nella realtà, che nei nostri giorni non troviamo, e questo genera nella nostra psiche grande amarezza, delusione, disorientamento, frustrazione.
4) I social e le chat hanno distrutto l’amore.
I tradimenti è vero che ci sono sempre stati, ma mai serviti su un piatto d’argento come grazie ai social e alle chat. Inoltre hanno accelerato e promosso il consumismo affettivo.
“Ciao, sei carina, ci stai? Ah non ci stai? E vabbè, che sarà mai, ci metto due click a trovarne un’altra.”
Praticamente ormai gli incontri funzionano così. Ma l’amore dov’è finito? Dove sono finiti il corteggiamento, il doversi scomodare per andare a conoscere qualcuno, quel “Esco per vedere se la incontro.” ?
Nessuno ti sceglie più davvero. Nessuno perde settimane pur di approcciarti. Nessuno sta troppo dietro a nessuno. Tanto, cosa vuoi che sia, c’è l’imbarazzo della scelta!
Si è perso l’amore. Inutile cercarlo dentro al letto di qualcuno, per poi piangere lacrime di coccodrillo. Inutile pensare di trovarlo dentro infinite chiacchiere scritte su una chat. Se pur di non restare sola, ti adatti ad un sistema simile, non troverai mai quello che cerchi. L’amore non puoi trovarlo dove di amore non c’è mai stata traccia.
Vivo meglio da quando non ho più l’assillo di dover pubblicare qualcosa, se no i follower scappano. Le ispirazioni fluiscono da sole, senza forzature. Non si scrive una poesia a comando. Nessun robot scrive poesie.
Vivo molto meglio da quando non mi contatta nessuno credendo di poter flirtare con facilità. E vivo ancora meglio da quando nessuno mi manda continuamente “buon giorno e buona notte” preconfezionati, che non sono interessanti se non per chi li manda, visto che è un modo per sentirsi considerati.
Vivo divinamente da quando ho chiuso con un Facebook deprimente e ipnotizzante. Con un Instagram che vive di ostentazioni, tartarughe non marine, e labbra a forma di canotto. Con un Twitter di cui non mi sono mai rammaricata per non averci capito un tubo.
Sono ancora rimasta su Linkedin, noiosissimo e soporifero, perchè non è minaccioso, e se gli do uno sguardo una volta a settimana, è tanto.
Per il resto gestisco liberamente il mio sito web e continuo a scrivere libri.
Quando mi dicono “Però che peccato, eri sulla cresta dell’onda.” Io rispondo che non mi è mai importato essere “qualcuno”. Sono già qualcuno in quanto esisto, e sono unica, come lo siamo ognuno di noi.
Scrivo sin da piccola per istinto, e oggi che ho superato i primi anta, continuo a scrivere per condividere con gli altri, non perchè stia lì a cercare chissà quale successo. Il successo è stressante ed effimero. A me piace la vita semplice e la calma.
Lontana dai social ho riscoperto il valore della lentezza, ho ripreso a guardare la vita e le sue bellezze senza ansia e con occhio sempre nuovo, non ho quell’assillo massacrante di dover compiacere qualcuno in ciò che scrivo, ho più tempo per me stessa e per le cose che veramente amo, e sono tante!
Senza i social si respira ossigeno a pieni polmoni. Mi piacerebbe che tutti riscoprissero la bellezza di una vita semplice, giocosa, serena.
La vita và vissuta liberamente. Non in gabbia. Non dentro un catalogo.
-Patrizia Perotti-
KILLING ME SOFTLY – Uccidimi dolcemente –
KILLING ME SOFTLY – Uccidimi dolcemente –
Narcisismo, Socipatia, Psicopatia, & company. Vittime e carnefici, ma anche entrambi esseri umani.
Mi scrivete ogni giorno in tanti, soprattutto donne, ma anche uomini. Avete incontrato un narcisista, un sociopatico, uno psicopatico, un anaffettivo, ecc. E magari anche più di uno.
E’ successo anche a me, e succede a molti di noi, anche se magari non ce ne rendiamo conto.
In fondo si somigliano un po’ tutti. Alla fine sono tutte persone che non sanno amare, e che si nutrono dell’amore che gli altri sanno donare.
La società è abituata a guardare con compassione le vittime fisiche che si vedono nei telegiornali. Brutte storie.
Sottovaluta però, sbagliando, il dolore e la quantità delle vittime che vengono giornalmente mutilate nell’anima da partner, genitori, amici che portano di nascosto con sé i cosiddetti “disturbi della personalità”.
Si esce da queste storie psicologicamente devastati, ci si regge a malapena in piedi tra le macerie della propria vita. Queste persone ti distruggono dentro e fuori, ti uccidono lentamente, giorno per giorno, mentre tu guardi la tua pozza di sangue farsi sempre più grande, e quasi stordita ti ci specchi inerme, immobile, quasi a non capire che tutto quel sangue è il tuo.
Sembra assurdo, ma si pensa che è meglio dissanguarsi che perdere quell’uomo/donna magnifico/a che ti è capitato! Tu non potrai vivere senza di lui/lei.
E’ quello che loro, implorandoti ogni volta che te ne sei andata, ti hanno fatto credere. Continua la lettura
Uomo e donna. Alfa e beta.
Leggo e rileggo i loro profili, e non ho mai capito come persone normali pensino che incarnare un modello preconfezionato di identità, possa fare di loro delle persone attraenti e vincenti.
Mi chiedo in che modo si parli di modello vincente, quando ad esempio tra gli uomini alfa uno dei compiti principali sia quello di “distruggere la sicurezza delle donne”, mentre tra le regole sembra che le donne debbano essere da loro trattate con rispetto. Controsenso? Chissà…
Mi sembra una sorta di guerra a chi è il più forte, senza comprendere che entrambi i sessi, con i loro rispettivi ruoli, sono indispensabili su tutti i fronti: affettivo, emozionale, sessuale, intellettivo.
Per intenderci, un uomo alfa è: sicuro di sé, affascinante, intelligente, ambizioso, legato al lavoro, seducente all’ennesima potenza, corteggia poco e niente, non sta dietro alle lamentele delle donne.
Di contro, l’uomo beta è quello che un tempo era definito come principe azzurro, dedito alle donne, servizievole, quello insomma che oggi definiremmo “zerbino”. Continua la lettura
Dico la mia
In questo spazio esprimerò la mia personale opinione su argomenti disparati, che per lo più riguardano l’osservazione della società, del pensiero collettivo, e di tutto ciò che attrarrà la mia attenzione e la vostra. Potrete infatti scrivermi per chiedere come la penso su alcuni argomenti di vostro interesse. Risponderò senz’altro attraverso “Dico la mia”